15 marzo 2015

Scherza coi santi... (6): François-Marie, Erich e Leo

Con garbo delizioso, nel cuore violento del violentissimo Novecento, Spitzer e Auerbach furono capaci di fare torneo d'una lettera, breve e superlativamente deliziosa, che il vecchio Voltaire aveva indirizzato a Madame Susanne Necker sul limitare dell'estate del 1770, da Ferney:

À Madame Necker
Quand les gens de mon village ont vu Pigalle déployer quelques instruments de son art: Tiens, tiens, disaient-ils, on va le disséquer; ce sera drôle. C'est ainsi, madame, vous le savez, que tout spectacle amuse les hommes; on va également aux marionnettes, au feu de la Saint-Jean, à l'Opéra-Comique, à la grand'messe, à un enterrement. Ma statue fera sourire quelques philosophes, et renfrognera les sourcils éprouvés de quelque coquin d'hypocrite ou de quelque polisson de folliculaire: vanité des vanités!
Mais tout n'est pas vanité; ma tendre reconnaissance pour mes amis et surtout pour vous, madame, n'est pas vanité.
Mille tendres obéissances à M. Necker.

Nel 1931, a Colonia, di questa lettera aveva fatto oggetto di attenzione il Viennese: una prospettiva stilistica capace, in proposito, di calibrate sottigliezze analitiche. Tre lustri più tardi, da Istanbul (dove era frattanto opportunamente riparato), il Berlinese riprende il quadro composto dal collega. Vi aggiunge un'ipotesi alla luce della quale lo scritto del Parigino appare ancora più ironicamente leggero. 
Trascorrono due anni e, da Baltimora (vi era tempestivamente giunto una dozzina d'anni prima, passando anche lui per Istanbul, ma brevemente), Spitzer reagisce alla pennellata di Auerbach (frattanto trasferitosi in Pennsylvania), dicendo che, in proposito, lo "ha portato a nuove conclusioni".
Apollonio non prova a riassumere i termini della cavalleresca partita tra i due filologi. A chi lo desidera, dei suoi cinque lettori, il piacere di apprenderli dalle loro voci, integri e non maldestramente riferiti. Ed è d'altra parte la lettera di Voltaire, anche per Apollonio, a esercitare infine un fascino maliardo. A margine delle argomentazioni piene di gusto e di dottrina di Spitzer e di Auerbach, che non priverebbe d'un accento e cui non aggiungerebbe una virgola, ecco allora, come da uno scoliaste, un'annotazione a rischio di dissonanza.
"C'est ainsi, madame, vous le savez, que tout spectacle amuse les hommes...": meno d'un quarto di secolo ancora dal momento in cui queste parole s'erano formate sotto la penna di Voltaire e l'acuta, leggera, sorridente sortita sarebbe stata verificata su larga scala, in molte piazze proprio della sua Parigi. 
Non le marionette né l'Opéra-Comique ma lo spettacolo della ghigliottina: a suo modo, un funerale iterato ad libitum o, ancor meglio, la grand'messe del Moderno, che richiamava, come fedeli, enormi folle. Insomma, la messa in scena fondativa e rappresentativa di un'epoca intera, anche (forse soprattutto) quanto al pubblico: fuori di ogni specificazione di genere, "tricoteuses".
E il pubblico che accorre a ogni spettacolo provvistogli da una civiltà che, d'ogni cosa, non sa fare altro che spettacolo è stato da allora spiritualmente composto nel modo che forse neppure il Voltaire gustosamente e fisicamente puntuto (oltre che ormai pronto a lasciare il mondo alle sue vanità) fu capace d'immaginare .
Tanto che, oggi, passati più di tre secoli dal suo pronunciamento, anche i nemici e gli oppositori più radicali dello spirito di un Voltaire e della civiltà paradossale che se ne è a tratti nutrita (nemici presunti, in realtà, o forse solo sedicenti) mettono in opera ferocia e stupidità soprattutto per un pubblico, come pure rappresentazioni. 
Immancabilmente, il pubblico accorre numeroso allo spettacolo. E anche se dice, scalmanato e inorridito, di non approvarlo, evidentemente ne è divertito e lo condivide.  
   

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