15 novembre 2014

Trucioli di critica linguistica (14): "la buona SCUOLA"...

è un brand, una sorta di nome proprio. Come nome di marca non è fatto male ed è anche corrivo al punto giusto. 
Un nome di marca aspira sempre a essere corrivo: deve esserlo, a qualsiasi livello esso si ponga. La sua corrività è un valore correlativo: può trovarsi molto in alto, ma a qualsiasi altezza si trovi, un brand ha da essere corrivo. Un brand non corrivo è infatti un brand fallito.
La corrività di la buona SCUOLA non è, ovviamente, triviale né ecumenica: dalla sua portata, qualcuno è tenuto fuori, tanto in basso, quanto in alto. È insomma una corrività media, come appunto deve essere, si direbbe, per destinazione sociale e per indirizzo politico. Ma Apollonio, di politica, non s'intende e quindi si asterrà dall'aggiungere altro. 
Se non la nota, antropologica più che politica, che - come tutte le corrività medie - quella di la buona SCUOLA è a tendenza omologatrice. Si tratta della variante, nella Modernità putrefatta, di ciò che, nella Modernità tardo-matura, poteva essere qualificato come tendenza totalitaria. Ma niente paura, per carità: molti pericoli hanno smesso d'essere incombenti sulle società occidentali, da allora. La ragione è che essi si sono semplicemente realizzati e, come si è potuto constatare, fin che dura, ci si vive anche comodi. Quindi vale la pena di accogliere tutto con un sorriso. 
Nel Belpaese, poi, con un sorriso ancora più aperto: si sa infatti che l'attitudine nazionale più qualificante è la capacità di stare sempre in equilibrio sul filo che fa da discriminante non all'alternativa tragica tra l'essere e l'apparire, ma a quella comica tra l'"esserci" e il "farci".
Tenendo presente quindi questo preciso carattere nazionale, che invita appunto all'allegria, nel marchio la buona SCUOLA si osservi come suona bene, per iterazione, il doppio uo, ovviamente tonico. E si noti come esso si combina in chiasmo con il doppio la che apre e chiude l'espressione. 
Cinque sillabe: l'atona centrale na, preceduta e seguita, rispettivamente, dalle sillabe toniche buo e scuo, a loro volta, l'una preceduta, l'altra seguita da un la. Tutte aperte: la-buo-na-scuo-la
Le tre dispari (dispari in numero dispari) con una a come apice sillabico; le due pari (pari in numero pari) con dittongo e vocale media posteriore aperta come apice sillabico. 
Non una i né una e: avrebbero stonato e la buona SCUOLA, come si vede, tende a tollerare poco ciò che non rientra nel suo facile equilibrio e non è a tono. Per ragioni che - è ovvio dirlo - sono anzitutto estetiche (cioè della qualità della relazione tra significato e significante), la buona SCUOLA è perciò molto distante da "la bella scola": quella alla quale, con gran faccia tosta, Dante favoleggia gli fu consentito d'accodarsi, "sesto tra cotanto senno".
Per passare a una nota sintattica (e, per tale via, semantica: ma di semantica Apollonio capisce ancora meno che di politica; integrino di conseguenza, come vogliono, i suoi cinque lettori), sono ragioni convergenti, se non proprio le stesse ragioni, a determinare la posizione dell'attributo. Con buona preposto al nome, la buona SCUOLA non equivale a la SCUOLA buona. L'attributo posposto sarebbe uno sconcio intollerabile per il brand. Esso se ne troverebbe completamente sfigurato, soprattutto nella capacità di fare l'occhiolino alla fascia alta del suo target. Quel ceto mandarino, o aspirante tale, che di sé pretende d'essere per principio "di buona scuola" e al quale che la scuola sia buona, nei vari valori che qui può prendere il predicato, importa infine poco o niente. 
Tra la buona SCUOLA e la SCUOLA buona c'è insomma l'invalicabile fossato che divide, in certe circostanze, l'attributo anteposto da quello posposto e, correlativamente nel caso specifico, il privilegio dall'assenza di privilegio.
Né va meglio, per venire dalla sintagmatica alla paradigmatica, con l'esito di un'eventuale commutazione dell'articolo: una buona SCUOLA sarebbe altra e misera cosa, messa a confronto con la buona SCUOLA. La prima lascerebbe infatti pensare a un'implicita molteplicità e quindi a una possibilità di scelta tra buone scuole possibili: se non una, l'altra o l'altra ancora. 
Ciò è proprio quanto specificamente confligge con lo spirito del brand. In esso, l'articolo determinativo definisce come unica la buona SCUOLA, come unico è d'altra parte, per principio, il referente designato da un nome proprio. Non c'è scelta, insomma: pare del resto che, da qualche tempo, scelta non ce ne sia in molti altri àmbiti della vita associata. È l'esito grottesco e paradossale cui sono giunte, putrefatte, le cosiddette società libere, che si sono trovate a potere essere libere solo in un modo e quell'unico modo, per giunta, eteronomamente determinato.
Come è ormai regola nell'universo della comunicazione pubblica, al marchio la buona SCUOLA s'accompagna una tag-lineAdidas? Impossible is nothing. Renault? Drive the change. Nutella? Che mondo sarebbe senza Nutella? La tag-line di la buona Scuola suona Facciamo crescere il paese. Vi compare la quarta persona grammaticale: l'invito è comunitario ma la comunità invitata ha da stare tutta, come si è visto e come dichiara apertamente la grafica, sotto il tetto dell'unicità definita e definitoria di la buona SCUOLA. Guai a uscirne.
E qui Apollonio si ferma. Finirebbe infatti per pestare i piedi al suo alter ego. Poveraccio, questi si troverà a dire quel poco che può e sa di quarta persona grammaticale, in un quarto d'ora graziosamente concessogli dagli organizzatori di un convegnone che ha per tema la lingua della politica. A Napoli, tra meno di una settimana. E lo farà, lo sconsiderato, senza capire neanche lui un'acca di politica. Che la caritatevole Euglotta lo protegga.

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