15 giugno 2014

Linguistica da strapazzo (30): Ancora sull'"arbitraire du signe"

Divertenti reazioni, in rete, per l'immagine qui esposta. C'è chi la mette sul ridere e parla di cinghiali attenti alla linea, c'è chi non perde l'occasione per deprecare gli anonimi posatori della segnaletica stradale e, con loro, l'ente (o l'Ente) che li manda.
L'idea della natura correlativa del segno, con il corollario del suo insopprimibile "arbitraire", non sfiora nessuno. 
Come ben sapeva Ferdinand de Saussure, del resto, essa, benché semplicissima o forse proprio perché semplicissima, è altamente contro-intuitiva e, di fronte a qualsiasi prodotto della loro attività simbolica (d'essenza, sistematica e differenziale), gli esseri umani non possono fare a meno di aggrapparsi a qualcosa che li esima dal ragionarci su. O meglio, che fornisca loro un comodo modo (per far finta) di ragionarci su.
In rapporto con l'immagine del cartello, straniante ma in funzione di un codice (il Codice della strada), ineluttabilmente metonimico, se non allegorico, ne risulta completamente oscurata e passa così per naturale, naturalissima la ratio misteriosa, invece, e radicalmente immotivata che mette insieme, in una lingua qualsiasi come qui l'italiano, il significante /tšin'gjali/ (qui reso come si può) con il relativo significato (improferibile se non in associazione col suo significante, appunto). E mette insieme l'uno e l'altro (e mai l'uno senza l'altro) solo grazie a una metafora radicata negli spiriti al pari di un non più riconoscibile luogo comune, si direbbe per disperazione da linguista che prova a capirsi, prima ancora che a farsi capire.

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