7 aprile 2014

Linguistica candida (15): Parlante

Parlante: definire in tal modo l'essere umano, in funzione dell'espressione, è metonimia. Correttamente prospettato, nel suo ecosistema espressivo, sterminato come un oceano, ogni essere umano è anzitutto in ascolto. Lo è per la maggior parte del suo tempo di vita. Con Apollonio, i suoi cinque lettori, stanno certo pensando in questo momento, con un interiore sorriso, che in proposito ci sono, ahinoi, delle eccezioni: lo testimonia il comportamento di qualche conoscente. 
Anche tali eccezioni, tuttavia, ammesso che esistano fuori di celia, sono in ascolto, se non di altri, di se stesse. Quindi essere in ascolto è proprio di ogni essere umano.
Lo è d'altra parte nel tempo cruciale della formazione della capacità di manifestare il proprio naturale talento espressivo, secondo i modi (e i riti) dei luoghi e dei tempi in cui si cade: dopo averli appunto opportunamente ascoltati, tali modi e riti, e averne evinta, senza nemmeno dirselo, una ratio
E non si parli, tra ascoltare e parlare, di un contrasto di attitudini: passiva, la non-marcata; attiva, la marcata, con i conseguenti comportamenti. In funzione dell'espressione, anzitutto, essere non è esclusivamente fare. Non si può fare senza essere ma si può essere senza fare. Se si crede diversamente è solo per un'ideologia perversa (e per paradosso, se non per vizio, spacciata per umanistica). 
In funzione dell'espressione, per esempio, già udire è un modo di essere. Ci si figuri quanto lo sia ascoltare: una modalità complessa d'essere attivi. Al di là dell'intenzione, sempre e solo eventuale, e che è, a sua volta, cosa diversa dall'attività, ascoltare è un fare funzionale all'espressione correlato col parlare e dal parlare differente, perché, tra l'altro, silenzioso. 
Al pari del parlare, però, l'ascolto è disposto a un'interminata serie di variazioni. Come ciascuno ha la sua parola, ciascuno ha il suo ascolto. L'ascolto ha poi i suoi gerghi, i suoi dialetti, le sue lingue. Ed è, soprattutto, la non-marcatezza dell'ascolto a governare, nella variazione, la marcatezza della parola. Chi ha ascoltato in italiano, in italiano parlerà.
D'altra parte, come si diceva, parlare senza ascoltarsi non è dato. Nella capacità di gestione del rapporto cronologico (e di conseguenza logico) tra ascolto riflessivo e parola sta l'evidente evenienza di una parola bella e morale e quindi le radici di un'estetica e di un'etica dell'espressione. E lungo uno spettro che va almeno dallo stordimento narcisistico all'irresponsabile finzione di non udirsi (talvolta, per paradosso, perché la voce con cui si parla è appunto troppo alta), in un ascolto riflessivo fallito e manchevole consiste sempre lo sconcio dell'espressione. Inautentica. Brutta.
Il momento in cui luoghi e tempi riconoscono così al piccolo essere umano la facoltà di parola e lo considerano un parlante è solo quello in cui la sua interrelazione con l'espressione si fa (più) evidente.
Parlare è il modo manifesto, e di conseguenza marcato, socialmente marcato, di intrattenere un rapporto con l'espressione. Meritevole di salienza, certo, ma, fattosi feticcio (pare non si riesca mai a fare diversamente, con le idee), sempre a rischio di volgarità e di violenza.
Mai ci si dovrebbe scordare, infatti, che la definizione positiva provvista appunto da parlante è appunto solo metonimica: la parte, e la piccola parte evidente, per il tutto da cui la parte dipende, gigantesco e celato. Né ci si può fermare, se non ci si vuole adagiare sulle facilonerie, al motto e al poeta quando sentenziano Wer redet, ist nicht tot. Dal punto di vista linguistico, infatti non è morto chi, senza aprire bocca, ascolta, visto che non è morto, anzi è agli albori della vita (o, che è in qualche senso lo stesso, al suo crepuscolo) nemmeno chi semplicemente ode.

2 commenti:

  1. Mi perdonerà Apollonio se vengo a marcare quanto in questo (magnifico) frustolo mi sembra sia da marcare, di certo per mia inadeguatezza interpretativa: ascoltare, appreso l'ascolto (questa di certo fra le attitudini non insegnabili e che rimane sempre da affinare) e farne esercizio il più possibile tramite efficiente governo di se stessi, è fonte d'uno dei piaceri più alti che sia dato provare.

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  2. Apollonio Discolo11/4/14 10:13

    Ad Apollonio pare un'opportuna integrazione morale e ne ringrazia il suo buon Lettore.

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