30 agosto 2011

Lo sguardo della critica

Lo sguardo di chi vuole discernere, lo sguardo della critica e di una linguistica critica (ma non pedantesca) è ingenuo, per definizione. Se a qualcuno può sembrare impertinente è soprattutto perché esso non ha assoluti.
Non li ha non perché coltivi un facile culto per un abborracciato relativo ma perché va sempre a caccia di ciò che fonda l'apparenza dell'assoluto come l'apparenza del relativo. Va sempre a caccia, in altre parole, di ciò che in sistemi di relazioni costituisce la pertinenza e determina valori processuali.
Ciò facendo, entra costantemente in conflitto con abiti intellettuali e con contesti materiali ispirati da velleità di assoluto o da rese al relativo. Questi paiono tra loro contrastanti ma si rivelano, alla prova delle pertinenze, intimamente solidali, come lo sono le due facce di una medaglia: la faccia relativa e la faccia assoluta della (dotta) stupidità.

[L'immagine: Marcus Parisini, Sguardo di scimpanzè (1997), dalla rete]

2 commenti:

  1. Vi è dunque un qualcosa - un "ciò che" - in sistemi di relazione viene a costituire ("fonda") pertinenze e crea valori processuali. Questo qualcosa "si sviluppa ininterrottamente e in silenzio negli esseri umani: forse anche altrove".
    Necesse est: si tratta di un qualcosa che non è valore processuale, sta prima, a fondamento, d'ogni possibile pertinenza, è, grosso modo, la condizione d'esistenza di qualsivoglia manifestazione di sistemi di relazioni.
    Un simile oggetto genera un immenso desiderio di discernere, incoercibile già un attimo dopo averlo intravisto solo come evenienza, ancor più se sopravvive ad ogni pensabile aggressione di verifica razionale. Nella storia del pensiero vi è imponente traccia, poco conosciuta ma ben visibile, di un simile lucido fervore, peraltro estremamente fecondo. Per uno sguardo ispirato da simile attenzione, l'aggettivo "ingenuo" messo in campo da Apollonio può avere solo il senso proveniente dal sistema del diritto romano delle persone: lo status di chi è nato libero, ovvero del pensiero che è rinato dopo essersi liberato da ogni velleità d'assoluto e tuttavia non può più arrendersi al relativo.

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  2. Nessuno può escluderlo, attento lettore. Una parola umana non presuntuosa e onesta con se stessa e con gli altri può però affermarlo? Con la scusa dell'accertata esistenza delle cose (e di Dio), c'è un sacco di gente inesistente che pretende di esistere anch'essa e di imporsi agli altri. Sa quanti guai?

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