19 giugno 2011

Trucioli di critica linguistica (3): "Lines è"

Il nome che un prodotto industriale porta entrando nel mercato è importante. C'è bisogno che lo si dica? Succede allora che un assorbente intimo sia battezzato come (Lines) è: un nome che più minimalista e, tuttavia, più parlante non si potrebbe. Perché?
Di assorbenti, Apollonio non è un esperto: in nessun senso. A credere ai messaggi espliciti veicolati dagli annunci, pare però che, dalla prospettiva soggettiva di chi davanti ai banchi di un supermercato fa una scelta di acquisto, principali virtù di un assorbente siano che averlo addosso deve essere (quasi) come non averlo, dal punto di vista di un'autocoscienza fisica, e, dal punto di vista di un'autocoscienza morale, che ci si senta sicure che la funzione sia assolta al meglio.
Se le cose stanno così, come tutte le situazioni in cui competono, se non confliggono, due princìpi (è il modello dell'ironia tragica), anche la situazione dell'assorbente è pronta a trasformarsi in racconto, non tragico naturalmente, per evidenti esigenze comunicative e commerciali, ma a lieto fine.
Di un assorbente si mette di conseguenza sempre in scena la trasfigurazione mistica. Esso ha da smettere d'essere un corpo estraneo aggiunto al corpo di chi lo indossa (cioè un assorbente) e ha da avvicinarsi il più possibile allo stato di un organo di tale corpo, funzionante al meglio senza dar segni di sé: è il destino cui del resto lo inviano la sua intimità e il suo stigma riparatorio e terapeutico.
Se questa rapida analisi coglie qualcosa di vero, tutti gli annunci merceologicamente comparabili raccontano allora la battaglia infinita che l'assorbente combatte per essere funzionalmente un assorbente processuale, proiettabile come participio presente, un assorbente però che, per paradosso, non è ontologicamente classificabile come un assorbente, non è cioè una cosa definita da un sostantivo. P
er modernità tecnologica (lo testimonia l'annuncio), l
'assorbente (Lines) è si vende come soluzione finale del dramma: "C'era una volta l'assorbente, adesso è... E poi è il più assorbente che c'è".
Con cosa tutto ciò sia eventualmente ancora correlato sarebbe forse corrivo dire, a questo punto, e, trattandosi di genere, uno di quei temi di cui oggi si chiacchiera a dismisura, i suoi cinque lettori ne esonereranno Apollonio. A insistere, gli sfuggirebbe senz'altro prima o poi l'espressione "gentil sesso", così poco politicamente corretta.
Lo esonereranno inoltre perché, se frequentano questo blog, sanno che egli è solo un vecchio amatore di lingua e grammatica e, se si è avventurato per contrade tanto pericolose, non è perché del genere gli cale ma perché gli preme soprattutto di quell'
è. Terza persona del presente indicativo del verbo essere e nome proprio commerciale di un prodotto.
Molta della fortuna del prodotto è infatti affidata alla trasparenza di quell'espressione. Essa attraversa la lingua senza avere rispetto delle tradizionali partizioni
tra nomi e verbi, poi tra nomi propri e comuni, infine tra parole lessicali e parole grammaticali, parole-contenuto e parole-funzione, le prime dense di significato, le seconde prive, le prime piene, le seconde vuote (o svuotate, come si dice, per grammaticalizzazione). E sono binari sui quali continua a filare la linguistica, non solo l'eterna e bonariamente normativa, lentamente, ma anche, oggi in apparenza velocissima, la scientificamente supponente, quella che di "rivoluzioni" ne fa almeno un paio ogni lustro.
Ecco appunto apparire qualcosa che pretende di stare sull'ambiguo crinale che divide essere e non-essere e che si trova come designazione e nome proprio una forma del verbo essere: non l'infinito, il nome del verbo, ma una forma coniugata e al tempo stesso massimamente non-temporale e non-personale.
Sotto lo statuto anch'esso ambiguo di denominazione e di parte di una proposizione: Lines è sta infatti sullo sfondo contrastivo naturale di è Lines. Un verbo tutto essenza e niente funzione? Un nome tutto funzione e niente essenza? Un verbo che come nome dice appunto su quale crinale di decidibile ambiguità sta l'oggetto che designa, assolvendo egregiamente e con plasticità alla sua funzione: "torna al suo posto e non si deforma".
All'analisi razionale delle lingue che ne fanno fenomeno, l'essere (poi divenuto dei filosofi), se è come l'essere italiano, è infatti proprio un plastico nulla. Ovunque esso ricorre, una forma ausiliaria che dà ricetto a proprietà predicative che non sono le proprie. In effetti, di proprietà di esistenza, in essere, non ce n'è alcuna e quell'è è una sorta di assorbente di valori impliciti ed altrui: nomen omen, l'apoteosi del fare denominativo, al tempo stesso, mistico e razionale, lessicale, anzi enciclopedico e sintattico. Ecco come, attraverso un nome (ma, appunto, è un nome?), nasce una cosa. Pardon! Una non-cosa.

Per chi non lo conoscesse, questo è
l'annuncio.

1 commento:

  1. Sesto Sereno20/6/11 15:51

    Se non sbaglio, almeno un'altra volta i pubblicitari hanno attaccato la montagna dell'essere seguendo - sarà una coincidenza? - la via della terza persona. Tutto minuscolo, per carità!
    Ricordo, infatti, una birra che affermava perentoriamente di esserci. Stavolta siamo andati ben oltre nel gioco si allusioni, rimandi, suggestioni. Qui - non sembri ovvio dirlo, visto l'argomento - c'è la mano di una donna, illustre Apollonio: "creato dalle donne per te" si legge nel finale dello spot. Solo la praticità di una donna può così sottilmente evitare di andare per il sottile. Funzione predicativa, esistenziale, essere, esserci, ente, esistere...roba per filosofi, linguisti e, nella migliore delle ipotesi, per Creatori(al maschile).
    Basta:da oggi "è" è anche "è". Un nome, come la rosa è una rosa se è una rosa.
    Blak

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