18 agosto 2009

Preistoria di "Nomen, non me!"...

...per l'eventuale diletto di sfaccendati agostani

Era un tardo pomeriggio della primavera del 1972: il 7 maggio si sarebbero svolte le elezioni politiche italiane. Luigi Pintor teneva un poco affollato comizio a Palermo, in piazza Verdi, quella del Teatro Massimo. Apollonio, ch'era poco più d'un adolescente, consumava in quella primavera certi suoi ultimi entusiasmi: piuttosto, certi suoi estremi astratti furori. Ed era lì ad ascoltarlo.
Dire oggi, quasi quaranta anni dopo, se le cose che Pintor sosteneva fossero giuste, vere, opportune sarebbe inutile. Inutilmente erudito sarebbe precisare per quale parte politica parlava. Era la parte politica che egli stesso aveva fortemente voluto presentasse proprie liste di candidati a quelle elezioni, con esiti che per essa (e nel suo piccolo) si sarebbero rivelati catastrofici.
L'umorismo, ha scritto un barbaro non privo d'ingegno, è il modo con cui lo sconfitto rivendica e riafferma la sua inutile superiorità. Pintor aveva un'eloquenza umoristica: la sconfitta era inscritta nella sua espressione, dunque, e travalicava quella, effimera, che egli avrebbe subito pochi giorni dopo.
Ugo La Malfa, palermitano di nascita ma non di formazione culturale e politica, azionista, massimo esponente del Partito Repubblicano Italiano, fervente e convinto sostenitore dell'alleanza atlantica e quindi filoamericano, sovente titolare di dicasteri economici nei governi italiani dell'epoca, doveva appunto essere in quei mesi ministro del Tesoro (o delle Finanze: poco importa). E Pintor, quasi in chiusura del suo comizio: "E ditemi, compagni, come si può credere all'autonomia delle scelte economiche e all'indipendenza dai petrolieri americani di un governo che ha per ministro del Tesoro un signore il cui nome, in anagramma, suona Amo la Gulf?".
L'argomento politico non era forse ineccepibile. Certamente non era ineccepibile l'anagramma: restava infatti una a. Ma Apollonio rise. Pensò. Gli parve di capire qualcosa, dove forse non c'era nulla da capire. Gli parve del resto che il metodo meritasse sviluppi e che con la sua insensatezza rivelasse faccette del mondo inaccessibili a chi crede di ragionare in modo sensato. Consumò inutilmente in quella primavera certi suoi estremi astratti furori... E poi, ilare, venne Saussure.

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