13 ottobre 2008

Lingua loro (8): "lingue storiche"

Tra un paio di giorni comincia a Palermo il solito annuale convegno di un'associazione italiana di studiosi del linguaggio (se non la più seria, la più pedante, si diceva un giorno). Ha per titolo «“Usare il presente per spiegare il passato”. Teorie linguistiche contemporanee e lingue storiche». La prima parte è una citazione: Apollonio non ha tempo (adesso) per dire da dove viene e perché combinarla con quel séguito non pare appropriato. Tant'è: ognuno decide di esprimersi come meglio gli pare. Ma c'è qualcosa che ha maggiore rilevanza pubblica, in quel titolo, ed è “lingue storiche”. È una novità.
Gli attributi, si sa, sono pericolosi. Fino a ieri, peraltro, attribuire storica a lingua non usava, in italiano. O almeno, non usava col valore che si può immaginare abbia pensato chi ha dettato quel titolo. Si poteva dire, per esempio, “arabo e greco sono state lingue storiche della Sicilia”, per dire che nel corso della storia, in Sicilia, ci fu chi parlò arabo e chi parlò greco. Ma “lingue storiche”, in assoluto, come lascia intendere quel titolo, non se ne conoscevano. Tutte le lingue (e tutte quelle cui si è da sempre dedicata quell'associazione) sono storiche, del resto, ed è da escludere che a quel "lingue storiche" si volessero contrapporre in quel titolo le "artificiali" (che, a loro modo, peraltro, sono storiche anch'esse). E del resto, annunciare di fare un convegno sugli “uomini mortali”, non lascia intendere che se ne può fare un altro sui "non mortali"? Nell'orizzonte culturale di quell'associazione ci sarebbero quindi anche "lingue non storiche"? E quando si prevede di parlarne? Sarebbe un avvenimento sensazionale. In giro, c'era ovviamente la linguistica storica, qualificata dal metodo e storica per questa ragione. Oggetto di studio della linguistica storica però non si era mai pensato potessero essere delle fantomatiche lingue storiche.
Col convegno palermitano, nascono invece in italiano “le lingue storiche”: chi vuole, festeggi. A Citera, Apollonio non lo fa e mette il lutto: gli pare un'inquietante sciatteria. Chi ha dettato quel titolo voleva dire semplicemente forse “lingue antiche” (e così si diceva in italiano e così si diceva in quell'associazione scientifica che era la più seria e la più pedante e spesso dedicava i suoi convegni alle lingue antiche). Si è vergognato di dirlo? “Antico”, si sa, non usa più. Storico e antico non sono sinonimi, però. O forse, ed è più grave, chi ha dettato quel titolo semplicemente non sa ciò che dice. E, per mostrare di avere gli attributi, ha preso il primo che gli è passato per la testa e l'ha esibito. Per una associazione nazionale di linguisti, un giorno la più seria, la più pedante, non è proprio una bella esibizione.

2 commenti:

  1. L'opposizione che credo sia alla base del titolo del convegno è fra lingue storiche in opposizione alle lingue ricostruite, come l'indoeuropeo (questo sì talvolta davvero fantomatico).
    Tale opposizione è ampiamente affermata e nota nei più recenti approcci teorici alla linguistica storica, ragion per cui non vedo nessuna ragione di abbassare le bandiere a mezz'asta e proclamare il lutto.

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  2. Gentile Anonimo,
    grazie del contributo e dell'incoraggiamento. Del resto, il lutto era relativo e anche in Apollonio (Le confesso) prevalevano e prevalgono i motivi d'ilarità.
    Sono giunte all'orecchio di Apollonio interpretazioni diverse dalla sua ma ugualmente tese a trovare un senso a quel "lingue storiche": tutte prove che non si tratta proprio di espressione consolidata. Pensi: c’è anche stato chi ha invece voluto far credere di crederci, con spicci argomenti d’autorità, quando la cosa andrebbe sperimentalmente regolata, esibendo come prova i contesti (numerosi e significativi) in cui “lingue storiche” , col valore che gli si attribuisce, ricorrerebbe.
    E poi, la varietà è bella. Ma interpretazioni diverse, certo meglio dei cenni approssimativi di Apollonio, rendono patente che, lì dove si trova in quel titolo, "storiche" (come altre parole inutili) non si sa bene cosa ci stia a fare. Le interpretazioni di cui Apollonio ha sentito sono varie, infatti, ma tutte (anche la sua) riconoscono una cosa: che “lingue storiche” sarebbero insomma le lingue tout court. Converrà con Apollonio che ciò che è superfluo nuoce alla chiarezza.
    E poi, suvvia, il contesto è il contesto: “Usare il presente per spiegare il passato: teorie linguistiche contemporanee e lingue storiche”: ma a chi si vuole darla a bere? Dove sarebbero lì i valori teorici profondi e decisivi di “storiche” che gli si attribuiscono? È una zeppa, mancava un attributo e qualcuno (Apollonio non sa chi né vuole saperlo) ha preso il primo che gli è passato per la testa. Sarebbe più elegante che lo si riconoscesse apertamente, invece di inventare, a posteriori, ragioni per la sua presenza (ragioni che, badi bene, saprebbe trovare anche Apollonio e, gli creda, forse migliori di quelle che gli sono giunte all’orecchio).
    Ma la questione sta altrove, anche se si può far finta di non capirlo. Vede, caro Anonimo, Apollonio ha frequentato nella sua gioventù (e anche oltre) i convegni di quella associazione scientifica e non vuol dire che allora fossero delle Accademie o dei Licei ma almeno una cosa vi si imparava: a mettere una certa cura nella propria espressione, soprattutto scientifica, a evitare le zeppe, a non adoperare parole utili per tutte le stagioni, parole che ciascuno può prendere come meglio gli aggrada, come sulla base della varietà di interpretazioni si sta proprio rivelando quello “storiche”.
    “Lingue storiche” è insomma una quisquilia, come tutte quelle di cui si occupa Apollonio, del resto. Una quisquilia: un segno di degrado.

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